13 Giugno 2010-
UNDICESIMA DOMENICA T.O. -
ANNO C-
MONIZIONE AMBIENTALE-
Il tema della liturgia della Parola di questa domenica ruota intorno al binomio PECCATO- PERDONO, concetto perlomeno lontano dal modo di pensare umano.
È vero che la Bibbia conosce il rigore della giustizia, ma è altrettanto vero che per Dio la meta ultima è il perdono pieno, l’infinita misericordia divina fa si che tutti i peccati vengono, come dice la Scrittura, gettati alle spalle, cioè dimenticati per sempre. Naturalmente questo se da parte nostra avviene una totale e radicale conversione.
È difficile accogliere il perdono, perché è difficile chiederlo, perché per chiedere di essere perdonati c’è bisogno di riconoscersi nell’errore e, siccome di solito ci si riconosce nel giusto, si pensa di non aver proprio bisogno di essere perdonati.
MONIZIONE ALLA PRIMA LETTURA
Il profeta Natan è fermo e lucido nel condannare il grande Davide per i suoi peccati di adulterio e di omicidio. Ma la condanna non è l’ultima parola, dal momento che il re peccatore riconosce la sua colpa e si pente, la misericordia di Dio rimuove il suo peccato.
MONIZIONE ALLA SECONDA LETTURA
Avere fede in Cristo vuol dire entrare in intimità viva e reale con Lui, unirci a Lui tanto da poter dire come Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Grazie alla nostra unione a Gesù morto e risorto, veniamo salvati e otteniamo come dono di Grazia la vita eterna. Se pensiamo che la salvezza possa derivare da qualcosa altro, fosse anche la preghiera, l’osservare i precetti, o seguire tutti i comandamenti, renderemmo inutile il sacrificio e la croce di Cristo.
MONIZIONE AL VANGELO
La donna che incontriamo nel vangelo è sicuramente una peccatrice, ma nel suo cuore sono sorti la fede e l’amore, lo testimoniano i suoi gesti di affetto e di umiltà sincera verso Gesù. Riceve ed accoglie allora la parola più rassicurante e più preziosa della vita, quella che perdona i suoi peccati.
Chi non capisce il perdono non è cosciente delle proprie colpe e non si sente peccatore. La cosa peggiore è quella di sentirsi giusti, quindi non bisognosi di misericordia.
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